Philosophy

Herbie Hancock – Daisaku Ikeda – Wayne Shorter

In questa Fotografia sono rappresentati i capisaldi della mia vita… I due “centri gravitazionali” attorno cui, da sempre, la mia vita ha orbitato:

Il Buddismo e la Musica…

Alla Musica sapete come sono arrivata… e anche come lei è arrivata a me, e come è diventata parte di me, così profondamente. Ma non bastava… Ero anche alla ricerca di una filosofia di vita, di un percorso spirituale, dell’arte di vivere…

E’ da quando sono ragazzina che mi faccio domande… sul senso della mia e dell’altrui esistenza… E’ da quando sono al mondo che cerco risposte… La prima grande risposta l’ho avuta quando, a 26 anni, dopo un lungo periodo caratterizzato da continui viaggi , ho capito che il viaggio più importante… E’ quello dentro di SE’. Da quel momento è cominciata la mia ricerca, che, senza farla troppo lunga, passando attraverso il Cristianesimo, l’Induismo, Jung, Markuse, il Buddismo Tibetano, il Tai Chi… E’arrivata al Buddismo di Nichiren Daishonin, e a NAM MYOHO RENGE KYO. Ero a casa! Il buddismo di Nichiren è arte… l’arte di vivere vite lunghe e realizzate. Perchè dentro di noi c’è un potenziale infinito, e purtroppo spesso ignorato. Ed è questo potenziale che rende la vita realmente degna di rispetto, degna di essere vissuta… Ognuno di noi lo possiede… Riconoscerlo in sè ed imparare ad attingere liberamente ad esso è ciò che intendo quando parlo di “arte di vivere”. La foto in alto vede un abbraccio profondo e sentito tra due giganti del Jazz che praticano il buddismo di Nichiren, Herbie Hancock e Wayne Shorter, e Daisaku Ikeda, nostro Maestro, presidente della Soka Gakkai internazionale e leader del movimento buddista che si richiama all’insegnamento di Nichiren Daishonin. Questo abbraccio, che ai miei occhi simbolicamente rappresenta la fusione profonda tra la musica e la spiritualità, è per me il binario su cui procedere. Perchè non esiste arte senza umanità, e prima di essere artisti… dobbiamo imparare ad essere… umani. Il viaggio è lungo, e mi piace l’idea di condividere, con chi ha piacere di soffermarsi su questa pagina, idee, pensieri, riflessioni… Sulla musica, e sull’arte di vivere.

Il primo articolo che voglio inserire in questo spazio di riflessione è una “Lettera Aperta” di questi due giganti del Jazz agli artisti del futuro. Buona lettura…

Herbie Hancock And Wayne Shorter

“Siate umani” la lettera dei grandi del jazz agli artisti del futuro

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Ancora un articolo molto interessante sull’Arte…

Tratto da “BUDDISMO E SOCIETÀ” per la pace, la cultura e l’educazione.

Estratto dal dialogo tra René Huyghe e Daisaku Ikeda

“La Nuit Appelle L’Aurore” – Flammarion 1980.

Arte, la terza realtà

Huyghe: Per giustificare la sua esistenza e assicurarsi un futuro, l’essere umano deve soddisfare il ruolo che gli è proprio. Egli non è dotato solamente, come gli altri animali, di istinti che gli assicurano la conservazione, la vita e la sopravvivenza attraverso risposte quasi automatiche alle situazioni ordinarie. E neppure è dotato soltanto di ragione e libertà che gli consentono di adattarsi a circostanze inaspettate comprendendo le situazioni nuove e immaginando le soluzioni migliori.
Insomma, lo scopo degli esseri umani non si limita a salvaguardare la vita ma comprende l’ambizione di condurla a un livello qualitativo superiore ancora sconosciuto perché, diversamente dagli animali non-umani che semplicemente ripetono se stessi, essi sono attirati dall’apertura al nuovo, da cose che ancora non esistono, dal progresso. In un mondo soggetto alle immutabili leggi della fisica, dove gli effetti si susseguono perpetuamente in maniera identica, gli esseri umani introducono il potere di impiegare la libertà creativa per il desiderio di perfezionare il mondo.
L’arte esemplifica questo potere, dispensato all’essere umano e a lui soltanto. Attraverso l’arte esercitiamo le facoltà che ci distinguono dal resto del mondo conosciuto. Un senso di responsabilità ci obbliga ad adoperare questo potere. In realtà l’arte è creazione, e ha valore solo fin quando è creazione. Diviene pura illusione o parodia se imita, ripete o si riduce ad applicare regole e ricette. L’arte afferma se stessa solo quando aggiunge a ciò che è, e anche a ciò che è immaginabile. Grazie all’atto creativo l’arte introduce nella realtà un contributo nuovo, vergine, un tipo di ricchezza supplementare per la quale nulla sembra abbia preparato la strada. Anche l’artista non riesce a capirne completamente il significato se non durante la sua realizzazione, e può esserne anch’egli sorpreso.
Dunque l’arte è anche libertà – un’affermazione e una dimostrazione della nostra libertà – perché le sue caratteristiche sono valide solo quando sfuggono al determinismo. In definitiva, l’arte esiste solo quando introduce nella realtà la ricerca, e il raggiungimento, di una qualità che è totalmente non-misurabile ma inevitabilmente vissuta nella reazione attiva provocata nello spettatore dal creatore.

QUANTITÀ E QUALITÀ

Huyghe: L’arte è una delle attività che superando la funzione dell’intelligenza, di cui è dotato anche l’animale, permettono all’essere umano di raggiungere quella realtà alla quale egli solo può elevarsi, e che non possiamo definire in altro modo che vita spirituale.
Il linguaggio dovrebbe operare una netta distinzione tra i due concetti di intelligenza razionale e di spirito, che troppo spesso l’uso comune tende a confondere. L’intelligenza razionale è essenzialmente la capacità di collocare le nostre percezioni in un sistema cognitivo organizzato: è quindi, in primo luogo, un mezzo per comprendere i dati sia esterni che interiori e per affrontarli con lucidità.
Direi invece che lo spirito è un mezzo, nel senso più elevato del termine, per andare oltre tali dati e anche per elaborare l’impulso necessario a ottenere questo risultato. Possiamo dire che lo spirito è la più alta possibilità dell’essere umano di proiettarsi oltre il reale, oltre se stesso, e realizzare le sue potenzialità, le sue aspirazioni migliori.
Ho utilizzato il termine “migliore” perché, parlando di spirito, passiamo dal “dato”, che una volta organizzato risulta utile, al concetto di “migliore”, ciò che cerchiamo di realizzare tramite un accrescimento del “valore”. Questa intuizione innata del valore introduce nell’esistenza un nuovo potenziale, quello della qualità.
L’intelligenza infatti può conoscere solo ciò che è possibile definire e misurare: la quantità. Una mente rigorosamente positiva non è aperta alla “qualità”, perché essa non trae origine dai “fatti”. Occorre in tal caso risvegliare lo slancio spirituale, latente in ogni essere umano, a cui egli deve affidarsi e da cui deve trarre la forza propulsiva che gli consentirà di contribuire al progresso dell’universo.
Questa percezione “spirituale” della qualità apre a nuove dimensioni: la dimensione estetica, la dimensione etica e infine quella del “sacro”, che è alla base di ogni religione.
L’arte è una delle più importanti attività spirituali, una di quelle che permettono di andare “oltre le cose”, oltre ciò che appartiene alla sfera del conoscibile e che scaturisce unicamente dall’intelligenza razionale.

SEGNI DAL MONDO INTERIORE

Ikeda: Quando mi trovo ad ammirare dei quadri pregevoli mi commuove sempre la straordinaria capacità di osservazione dei pittori. Questa qualità consente all’artista di trascendere l’aspetto meramente materiale delle cose. E non è certo per la tecnica che ammiro gli artisti, siano essi scultori o pittori, quanto piuttosto per l’intensità dello sguardo, che consente loro di comprendere e percepire l’oggetto senza essere schiavi del suo aspetto esteriore. È probabile che gli artisti più creativi, quelli che eccellono nella loro arte, siano dotati di capacità innate. Ma io sono profondamente convinto che se non utilizzano tali capacità impegnandosi con tenacia, non potranno far uso di questo dono naturale. Vorrei conoscere il suo parere su quello che viene chiamato “genio artistico” e come lei lo definirebbe.
Huyghe: Lei parla di comprendere e percepire l’oggetto al di là del suo aspetto esteriore. È giusto. L’arte ci aiuta a prendere coscienza di un dato fondamentale: non esiste una sola realtà, bensì due, come abbiamo già detto. Da un lato c’è la realtà concreta, organizzata nello spazio, formata dalla materia e sottoposta all’osservazione dei nostri organi sensoriali. Esiste poi un’altra realtà, la realtà interiore, che appartiene molto più al tempo che allo spazio perché non è collocabile in alcun luogo; potremmo dire che si colloca “all’interno della nostra testa”, ma avremmo comunque grandi difficoltà a stabilire il punto preciso in cui localizzarla: essa è ovunque e in nessun luogo. Ciò vuol dire che appartiene alla nostra vita e, come la vita, non è altro che lo scorrere del tempo, la “durata” interiore, come la definisce Bergson. In questo contesto, il concetto di spazio-tempo enunciato dalla fisica perde di validità: nella pratica della vita le due esperienze restano di fatto irriducibili.
La questione fondamentale della vita umana risiede in questa intersezione, questa interferenza tra due dimensioni: lo spazio, in cui si colloca il nostro corpo, e il tempo, che dà origine e pone fine alla nostra vita cosciente e inconscia. La nostra realtà si trova a esistere tra questi due mondi: pur immersa nel mondo materiale attraverso il corpo, si sviluppa nella “durata” tramite il progressivo affiorare della vita alla dimensione della coscienza. Direi che ciò che definiamo “presente”, e che è così inafferrabile, sia proprio questo punto di intersezione di tempo e spazio.

NELL’OPERA D’ARTE DUE MONDI IN RELAZIONE

Huyghe: Il mondo oggettivo si definisce nello spazio tramite il regno della materia; in esso ogni cosa è regolata da leggi permanenti e può riassumersi in fatti enunciabili che sono gli stessi per tutti. Il mondo soggettivo, che si esplica nella dimensione della durata, è il regno dell’aleatorio, del mutamento, della creazione. Questi due mondi sono separati ed è l’essere umano che li mette in relazione: tramite l’essenza spirituale l’individuo appartiene alla durata e alla soggettività, mentre, in quanto corporalità, si ricollega allo spazio e alla realtà oggettiva. In questo modo la sua intelligenza, le idee, la ragione e la logica si armonizzano intimamente. Accanto a queste due realtà fondamentali tra cui è diviso, l’essere umano ha creato una terza realtà: l’arte. Per questo ho proposto di definire l’arte “terza realtà”.
In cosa consiste esattamente l’arte? Nel fissare, nell’iscrivere nel mondo della materia e dello spazio – prendendo in prestito da questo mondo elementi solidi quali la pietra, il marmo, il legno – i segni e la proiezione del mondo interiore, del mondo soggettivo.
Con l’arte, quindi, il mondo soggettivo dell’essere umano, quello che anima la sua vita interiore, e il mondo oggettivo, quello in cui si colloca fisicamente e in cui agisce, cessano di convivere per mera consuetudine. Si verifica all’improvviso una fusione tra questi due mondi, materializzata nell’opera d’arte.
L’opera d’arte è quindi formata esattamente da due parti: una componente fisica, il materiale, e un contenuto, l’interiorità, che essa lascia trasparire come lo sguardo può rivelare la nostra vita psichica. In questo modo diamo ad alcuni oggetti, che noi plasmiamo, il potere di manifestare la vita interiore che essi non posseggono, ma di cui li permea l’artista. È questo il miracolo compiuto dall’arte.
Ecco perché lei ha ragione a sottolineare la dualità che esiste nell’artista tra ciò che è innato e la tecnica: ciò che è innato è la palpitante vita interiore dell’artista, che è il suo segreto ma che giustamente vuole manifestare, vale a dire iscrivere nel mondo esterno. La tecnica, invece, sono i mezzi materiali che gli consentiranno di infondere in un oggetto la forza espressiva che scaturisce dalla vita interiore.
Di conseguenza non può esistere un’opera d’arte di grande valore se non vi è la spinta di una vita interiore, dell’innato, a sollecitarla. Ovviamente questa vita interiore dovrà essere di arricchimento per le altre persone, cioè dovrà portarle a una maggiore consapevolezza del mondo e di se stesse, a una consapevolezza più ricca e più elevata. È questa l’essenza del genio. Il genio è la forza creativa interiore di un essere eccezionale che vuole entrare in contatto con un altro essere per arricchirlo.

PRESERVARE DAI DANNI DEL TEMPO

Huyghe: Scopo fondamentale dell’arte è passare dal tempo allo spazio, ma anche preservare lo spazio dai danni del tempo. Tutto ciò che viviamo interiormente è condannato ad annullarsi con il tempo nel momento stesso in cui lo sperimentiamo, lo sentiamo, perfino lo pensiamo. La memoria può prolungare il nostro vissuto interiore, ma non oltre l’oblio, non oltre la nostra vita. Solo il passaggio dal tempo allo spazio, cioè l’iscrizione nella forma, può rendere eterna la nostra vita interiore. Questo è il percorso della creazione artistica.
Inoltre, in questo modo, l’arte introduce la qualità nello spazio, il regno della quantità, che la scienza analizza utilizzando la misura, strumento che le fornisce la matematica.
Ma la qualità non si può spiegare con le definizioni più di quanto la si possa misurare con i numeri. Essa deriva unicamente dall’esperienza interiore: non la si può percepire se non realizzandola in se stessi, se non vivendola dentro di sé in modo creativo. È questo il motivo per cui alcune persone non potranno mai percepire, per esempio, la qualità di un’opera d’arte; o potranno farlo solo fino a un certo livello, fin dove giunge la loro esperienza individuale. È probabile che nell’opera di un genio vi sia molto di più di quanto un essere umano, per quanto dotato, riesca a trovarvi.
A questo punto, di fronte alla nuova opposizione tra quantitativo e qualitativo, viene a essere superata quella tra mondo esteriore e mondo interiore. E dal momento in cui si parla di “qualitativo”, non basta più riferirsi alle categorie di spazio e di tempo. Bisogna aggiungere un altro grado nella scala del valore, quello dell’accrescimento della qualità. Innovazione immensa! Solo in questo modo si può comprendere la crescita progressiva che porta l’essere umano dalle sue basi fisiche, sensuali e sensoriali, al di là dei sentimenti e dei pensieri, oltre le idee, fino all’esperienza spirituale. La qualità è un movimento in ascesa che proietta l’individuo su una scala di valori che, di gradino in gradino, tende verso l’infinito, verso il divino. È questo assoluto che gli esseri umani chiamano Dio.

OLTRE IL VISIBILE

Ikeda: La sua risposta ha superato di gran lunga l’oggetto della mia domanda, perché lei ha spiegato il significato profondo della creazione artistica. Secondo il Buddismo esistono cinque tipi di occhi: “l’occhio fisico”, “l’occhio del cielo”, “l’occhio della saggezza”, “l’occhio del Dharma” e “l’occhio del Budda”. La possibilità di percepire l’essenza delle cose, al di là del loro aspetto esteriore, è legata a questo concetto. “L’occhio fisico” non è altro che il senso della vista, grazie al quale possiamo conoscere l’aspetto fisico delle cose. “L’occhio del cielo” coglie ciò che esiste oltre il mondo fenomenico, vale a dire, ci consente di scoprire ciò che è inaccessibile all’occhio fisico.
“L’occhio della saggezza” consente di prendere coscienza delle leggi che regolano i fenomeni e della relazione esistente tra leggi e fenomeni. In senso generale lo possiamo paragonare allo sguardo dello scienziato, che scopre le leggi che regolano l’oggetto dei suoi studi, e allo sguardo dell’artista, il cui genio coglie l’essenza delle cose. “L’occhio del Dharma” è l’occhio del bodhisattva, che conosce tutte le leggi che consentono di salvare gli esseri in questo mondo di sofferenza e illusione. Esiste infine “l’occhio del Budda”, ovvero la comprensione dei fenomeni nella loro dimensione temporale – cioè nel fluire di passato, presente e futuro – e nel loro spazio sensibile, vale a dire, inseriti nella scala dell’universo. L’occhio del Dharma e l’occhio del Budda sono facoltà utilizzate dai Budda e dai bodhisattva per salvare gli esseri umani dagli abissi della sofferenza.
Sia gli artisti che gli scienziati sono dotati anche degli ultimi due tipi di occhio – se non dell’occhio del Budda, certamente dell’occhio del bodhisattva – ma a condizione che non si limitino a voler soddisfare la loro intelligenza o la loro voglia di creare, bensì cerchino essenzialmente di affrancare gli esseri umani dalla miseria e dalle illusioni. Questa è la mia opinione.
L’occhio del Budda consente di distinguere l’infinito e può esserne dotato solo chi abbia già percepito l’infinito, come il Budda.
Comunque il vero artista non si limita al mondo dei fenomeni effimeri e mutevoli; va a osservare il mondo immutabile che esiste al di là di essi; gli si apre così davanti un percorso senza limiti. È in questo senso che sento il legame profondo che unisce arte e religione.

DIVERSE IMMAGINI DI REALTÀ

Ikeda: L’arte è così poco assoggettata al mondo fisico che la pittura e la scultura, anche quando aspirano a rendere la forma, l’aspetto degli oggetti, danno della stessa realtà immagini estremamente diverse, secondo l’etnia e la cultura cui appartiene l’artista. Credo che questo non vada attribuito solo a differenze di tecnica, ma anche e soprattutto a differenze fondamentali nel modo di entrare in contatto con gli oggetti e di comprenderli. Qual è la giusta valutazione da dare su questo punto?
Huyghe: Se è vero che la pittura e la scultura si sono dedicate, sin dalle origini, alla riproduzione fedele del mondo materiale, è necessario comunque sottolineare che per molto tempo questo non è stato uno scopo, ma piuttosto un mezzo. Si riproduceva l’aspetto esteriore dei corpi o degli oggetti con l’intento di evocare ciò che di essi si pensava.
Non si può comprendere veramente il significato dell’arte se non ci si rende conto che esistono, come abbiamo già detto, due realtà. La funzione dell’opera d’arte è quella di creare un equilibrio e un legame tra la realtà oggettiva, che fornisce all’opera la materia fisica attraverso la quale esprimersi e la possibilità di essere compresa, e la realtà soggettiva, che introduce nelle immagini, dotate così di un potere simbolico, la materia psichica che le appartiene.
L’arte quindi risulta sospesa, grazie al suo ruolo di intermediaria o di “terza realtà”, tra una realtà permanente, esteriore, che è sempre la stessa attraverso il tempo e lo spazio, perché sottoposta alle leggi immutabili scoperte dalla scienza, e una realtà interiore che, al contrario, è multiforme, instabile, mutevole. Essa in effetti presenta delle differenze a seconda degli individui, del loro carattere e delle loro tendenze specifiche; varia anche secondo la collettività cui gli individui appartengono, poiché la collettività, tramite l’educazione e l’azione dell’ambiente che essa crea, lascia la sua impronta, la sua concezione del mondo, in ogni individuo che le appartiene.
In realtà l’arte esiste da quando esiste l’essere umano, anche quando non ne era consapevole. Questo prova che la qualità è un bisogno che non si può reprimere, che non appartiene alla sfera dell’utilitario e del quantitativo, come vorrebbe la civiltà tecnica moderna. In una persona completa, la cui umanità non risulti alterata, una persona in grado di esercitare appieno la propria natura, il bisogno della qualità è un bisogno psichico spontaneo quanto il bisogno fisico di mangiare. Questa ricerca della qualità la spinge a superare se stessa, aprendole la via verso la spiritualità nella ricerca dell’assoluto e quindi del divino.
La ricerca della qualità è dunque essenziale; essa caratterizza la nostra natura e la nostra vocazione, questo bisogno di elevarci al di sopra della realtà materiale; prepara quella ascesa verticale verso la quale l’individuo si sente chiamato e che lo conduce fino all’ideale. Questa ricerca è insita nell’essere umano, ed è sempre esistita; infatti, a partire dalle civiltà più antiche, fin dalla preistoria, non si costruiva un utensile solo per servirsene; pur essendo concepito per svolgere una funzione, non veniva elaborato solo per assolvere a essa, ma anche per dare un piacere suscitato dalla bellezza della linea, della forma; un piacere che oggi definiremmo estetico.

ARTE E POTERE

Huyghe: Penso che sia necessario difendere a ogni costo il gioco naturale e spontaneo della vita dalle influenze razionali, autoritarie e dogmatiche.
In effetti, la caratteristica propria dell’arte è permettere la proiezione di ciò che l’artista sente, della sua sensibilità più profonda, che non è ancora venuta chiaramente alla luce; l’artista infonde nell’opera d’arte il suo travaglio interiore che non è divenuto sistema; si affida alla sua opera per esteriorizzarlo, per prenderne coscienza. Così, spesso, l’opera d’arte è ricca di intuizioni premonitrici, ancora da liberare. Si può affermare che in queste intuizioni risiede l’avvenire; in esse si delinea la reazione contro la stasi di un presente immobilizzato nelle sue ossessioni astratte che bloccano il futuro.
Ikeda: Sono d’accordo con lei. L’artista deve essere libero di esprimere le sue idee e i suoi sentimenti, anche se sovversivi. Sovversivi: questo è il pretesto che usa il potere per giustificare la propria ingerenza nel campo dell’arte.
Credo che l’arte abbia origine dalla profondità dell’animo umano come il grido del suo vero essere, autentica affermazione di se stesso. Anche la religione offre all’essere umano delle solide basi per sviluppare la sua vita interiore; in particolare la religione buddista, che dimostra come la dignità non dipenda da un essere esterno e trascendente, bensì dalla Buddità che esiste in ogni individuo.
Non si tratta, quindi, di mettere arte e religione a confronto; ambedue affondano le loro radici nel cuore umano. Sono forze di resistenza o di lotta contro l’arbitrarietà del potere che si assume il diritto di giudicare.
È necessario vivere proteggendo quello spirito originario che tende a riconoscere se stesso, rispettare la dignità umana e la sua espressione in seno alla società. Inoltre occorre sforzarsi di mantenere la capacità di giudizio anche di fronte ai desideri e alle pulsioni dell’istinto. In questo processo emergono le qualità più nobili, quelle più adatte alla creazione, comuni sia all’arte che alla religione.
Huyghe: Ne risulta che l’arte non può in alcun caso essere impegnata, perché l’uso della parola “impegnato”, nel suo significato odierno, implica l’adesione dell’artista a un sistema di pensiero già strutturato, simile a quello di un partito. L’artista, sottomettendosi ai dogmi elaborati per una collettività, non fa altro che ostacolare il libero gioco del suo intuito soggettivo, ponendosi in contrasto con l’arte stessa. L’arte può esistere soltanto se mantiene la sua libertà e la stessa distanza dall’autoritarismo dello Stato e dalla tentazione di aderire a una dottrina particolare.
Ikeda: Quando l’arte intenzionalmente vuole trasmettere un messaggio spesso perde il suo valore, in particolar modo quando è costretta a trasformarsi in un veicolo di idee preconcette. In una vera opera d’arte, invece, si riesce a percepire il sentimento che anima l’artista e la sensibilità che gli permette di afferrare la realtà. Una tale opera non perderà mai il suo valore. Ritengo, quindi, che sia importante cogliere bene il rapporto forte, intimo che lega lo spirito dell’artista alla sua opera. Quando la tecnica prevale su tutti gli altri aspetti, gli artisti tendono a trascurare i messaggi che provengono dal cuore, dimenticando di scavare nell’intimo e di sviluppare le loro capacità personali. In questo modo l’arte perde dignità e valore, e l’artista si riduce a uno strumento di propaganda del potere. La mancanza di capacità creativa si può forse nascondere con tecniche sempre più raffinate, ma non potrà sfuggire allo sguardo l’assenza di contenuti. Io stesso non conosco le tecniche, ma sono sensibile a quelle opere che esprimono la ricchezza del cuore umano. Per questo un autentico artista, oltre a possedere personalità e talento, dovrebbe nutrire un amore profondo per l’essere umano e per le cose.
Huyghe: Lei ha individuato un problema fondamentale: quello del “contenuto” dell’opera e della sua autenticità. Certamente la ricerca della qualità e il valore artistico rimangono elementi essenziali, ma ciò non esclude il fatto che l’opera abbia un “contenuto”. Occorre, tuttavia, che questo contenuto sia il prodotto dell’esperienza personale dell’artista e che venga trasmesso soltanto con i mezzi propri dell’arte. Non deve in alcun caso trattarsi di un’idea precedentemente concepita e formulata, che ricerchi nell’arte un ulteriore strumento di affermazione.
Il messaggio di cui l’opera d’arte è latrice deve essere affidato alla potenza suggestiva ed emotiva dell’immagine, e non a metodi concettuali e dimostrativi. L’opera d’arte dunque rivela non solo la realtà interiore dell’artista ma la sua partecipazione alla realtà sociale del suo tempo.

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